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Salviamo lo Yoga dall’occidente Le scuole della tradizione rischiano

Salviamo lo Yoga dall’occidente Le scuole della tradizione rischiano

In Italia i praticanti di Yoga sono circa un milione e mezzo e le scuole riconosciute più di ottocento (solo a Roma se ne contano 147). Eppure le scuole classiche di Yoga rischiano di chiudere: sono poche e hanno gravi problemi di sopravvivenza. Ma, soprattuto, ciò che rischia di scomparire è lo Yoga stesso. Un paradosso segno dei nostri tempi, culto del corpo e della velocità, epoca del «tutto e subito» e dell’apparenza. Lo Yoga è una pratica antichissima, risale al secondo millennio avanti Cristo, e si riscontra già nel più antico dei Veda, il Rgveda con il significato di «unire», «imbrigliare». Si tratta di un insieme di tecniche che permettono di raggiungere l’unione dell’energia individuale con l’energia universale. Lo Yoga è un insegnamento racchiuso nelle sette tecniche della tradizione, al servizio di chiunque voglia intraprendere un percorso di conoscenza di sé, di consapevolezza e di armonia con il creato. Un patrimonio che, purtroppo, è stato saccheggiato, inquinato e smembrato. È un gran bel business: semplificato, ridotto a tecnica sportiva, edulcorato e contaminato, lo ritroviamo nei pacchetti delle palestre o in definizioni come il Trekking Yoga, il Kung Fu vs Yoga, il Totally Nude Yoga e altri modelli bizzarri. Oggi lo Yoga si fa in acqua, appesi a un’amaca, sfidando la gravità o con il cane (chiamato anche «doga», una via di mezzo tra la pet therapy e lo Yoga). A New York è di moda lo Slim Calm Sexy Yoga, mentre la California ha creato, insieme al richiestissimo Power yoga, una grande varietà di «yoga», modificati e brevettati. C’è lo Yoga «di» – posseduto da – Denise Austin, ad esempio, o «di» Karen Voight o «di» Linda Barker… e la lista potrebbe continuare a lungo.

Lo scenario odierno quindi è questo: lo Yoga, un patrimonio dell’umanità, viene costantemente azzannato e masticato a bocconi per motivi sostanzialmente di profitto. Come se chiunque avesse un trattore potesse portarsi a casa un muro affrescato di Pompei o una «mesa» della Monument Valley, per poi far pagare il biglietto a chi volesse vederlo. Per un’ironia del destino, la disciplina che «aiuta gli esseri umani a calmare la mente e a sconfiggere la dispersione mentale», in uno specchio rovesciato viene invece dispersa dalla bulimia della nostra società.

«L’Occidente non resiste alla tentazione di far proprio qualcosa, dargli un nome, metterci un’etichetta…» ci dice Manuela Borri Renosto, insegnante di grande tradizione e formatrice di insegnanti di Yoga.

Lei è stata una dei sei fondatori della Federazione Italiana Yoga. Con quale spirito lo avete creato?

«Quando negli anni Settanta abbiamo fondato la Federazione, eravamo puri come angeli. Lo Yoga era già presente in diversi paesi europei e volevamo portarlo anche in Italia. E quando Gérard Blitz fondò l’Unione Europea delle Federazioni di Yoga trovammo necessario aderire al programma unico in Europa per le scuole di formazione. Eravamo tutti protesi alla valorizzazione e alla diffusione di questa disciplina»

Cosa è successo da allora a oggi?

«È difficile capire perfettamente cosa sia successo. Nonostante lo Yoga sia una disciplina che porta la consapevolezza verso il sé, bisogna anche vedere quanto coraggio ci si mette e quanto è forte l’aspirazione ad andare oltre… Nello Yoga si inizia un percorso che può non finire mai, e comunque non può fermarsi a un banale contentamento: bisogna aprire tante porte, guardare dentro di sé e trovare la lettura del libro antico della natura umana. Il primo degli incontri che lo Yoga permette di esperire è quello con le funzioni razionali della mente, l’Io, che va ascoltato, scandagliato, compreso. Una volta incontrato l’ego, ciascuno di noi può scegliere di tirar fuori tutto il suo coraggio per andare fino in fondo oppure fermarsi in uno dei vari condizionamenti. In tutti i tragitti di conoscenza del sé il percorso è questo. Cosa è successo nel mondo dello Yoga? È successo che è mancato un indirizzo dell’anima e si è data una enorme importanza alle tecniche, modelli utili ad espandere e rafforzare l’io, e non si è proseguito il cammino».

È per questo che alla fine degli anni Ottanta si è dimessa dai suoi incarichi nella Federazione?

«Sono sparita per 15 anni. Mi sono chiesta cosa volevo, se meritavo gli insegnamenti di Mére e dei maestri da cui ho imparato? Se ti accorgi che il tuo ego si è narcisizzato e senti che non è quello che vuoi, devi “ritirarti in grotta” e domandarti che cosa sei: faccio una carriera, faccio un lavoro o faccio una ricerca? Tutte tre le cose non puoi farle… E devi scegliere. Poi è accaduto di peggio: nel mondo sono nati 57 nuovi tipi di Yoga, che l’India rigetta, tutti costituiti di modelli, serie di tecniche. Sparisce il respiro, non se ne parla mai, figuriamoci la vibrazione. Proposte per una buona palestra, non per una scuola».

Lo Yoga, quindi, viene derubricato a disciplina. Per chi non lo conosce, può spiegare cos’è lo Yoga?

«Lo Yoga è una disciplina che ha tecniche del corpo e del respiro che servono a scopo terapeutico; in questo scopo ci sono il movimento, il respiro, i suoni, vocali e consonanti… Non esiste “uno” Yoga, le tradizioni classiche indiane sono sette. Dalla mia scuola posso parlare solo dal punto di vista del Raja Yoga: la tipologia più antica e di natura psicologica. Il Raja indica a ognuno di cosa ha bisogno. Non esistono modelli buoni per tutti».

Come ha cominciato?

«Nella via dello Yoga sono stata scelta dalle circostanze da amici e da un maestro bravissimo. Inizialmente, mentre ero in terapia junghiana con Mario Trevi e in contatto con il musicista e yogi Giacinto Scelsi. Poi ho capito che quel metodo che praticavo non era adatto a me e sono entrata in crisi. Poi ho incontrato una persona grazie alla quale ho potuto incontrare i testi antichi e cantarli, l’unico modo di comprenderli. Ho trovato ciò che era adatto a me, mi sono trovata a casa. E ho avuto una svolta, che ha portato alla decisione di lasciare tutto ciò che mi aveva dato un’affermazione sociale».

Ci racconta l’incontro a Pondicherry con Mére, la compagna di Sri Aurobindo?

«Pondicherry è stata una volata. Sono approdata all’hashram di Pondicherry con una lunga preparazione con Scelsi alle spalle. Eravamo un gruppetto, sei persone, i primi italiani ad andare in India. Mére non riceveva più nessuno da tempo a causa delle sue condizioni fisiche. Ma quella volta decise di vederci perché eravamo italiani e lei aveva un debole per la Toscana. Siamo stati con lei solo dieci minuti, ma mi ha toccato molto. Mi ha messo una mano sulla testa e mi ha detto: “Perché sei qui? Torna a casa, là è il tuo posto, hai tanto da fare”».

La sua scuola e il suo sito internet si chiama «Myoga»: non c’è modello e neanche definizione…

«A che linea d’insegnamento partecipi? Me lo chiedono spesso, ma contrariamente a quasi tutte le altre scuole, non ho una linea, un’etichetta, perché in realtà non c’è bisogno di un ombrello».

Allora quali criteri si devono prendere in considerazione per scegliere una scuola di yoga?

«Semplicemente basta avere una bella curiosità, un’attitudine aperta, bisogna fare come Alice, aver voglia di entrare in qualcosa ed esplorare, andarci dentro. All’inizio non è importante il tipo di scuola, perché non sapendo niente non si può scegliere, non si hanno gli strumenti per riconoscere quale tecnica sia la più adatta».

È vero che molte scuole hanno un problema di sopravvivenza?

«Purtroppo sì. Per attirare persone le scuole devono proporre tanti tipi di Yoga, “tecniche” allettanti o strane. Sono sicura che se proponessi il Kamasutra si iscriverebbero in moltissimi! Parlando seriamente il problema di fondo è che le persone sono state preparate male e le scuole di formazione sono diventate pian piano meno selettive. Come si salvaguarda la qualità? Lo Yoga ha bisogno di un percorso personale e che ci sia un insegnante, che trasmette».

Lo Yoga è uno stile di vita…

«Certo, ed è un lungo viaggio che ha bisogno di un solido addestramento che permetta il saper stare con se stessi e un’accettazione del limite che portino alla trasformazione. Un antico testo definisce lo Yoga la barca che permette di attraversare la grande acqua. La grande acqua rappresenta il mondo di ora e quello dell’eternità. E per poter navigare tu devi essere il nocchiero esperto, saperti orientare, conoscere le correnti e i venti. Devi essere creativo. Io sono atea ma guardo attentamente i vari pontefici che si sono succeduti. Wojtyla disse: “Prendi in mano la tua vita e fanne una meraviglia”. Questo è lo Yoga».

 

 

Di Stefania Scateni, 23 giugno 2013, l’Unità

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